Un nuovo fronte potrebbe unire le diverse correnti dell’insurrezione armata jihadista che ha combattuto in Siria e Iraq

Articolo tratto dall’intervista a Claudio Bertolotti di Francesco De Leo per Radio Radicale – Spazio Transnazionale del 21 agosto 2018

Siamo nel’epoca del post-Stato islamico, evoluzione di ciò che fu lo Stato islamico territoriale, che si impone attraverso la sua duplice natura: da un lato quella “sociale” a livello globale, alimentata dallo jihadismo autonomo homegrown e dei foreign fighter reduci della guerra combattuta sul campo di battaglia siro-iracheno (e libico); dall’altro lato abbiamo il risorgente fenomeno insurrezionale a livello regionale.

Lo Stato islamico, apparentemente sconfitto in Siria e Iraq si sta riorganizzando in maniera analoga allo Stato islamico d’Iraq del periodo 2006/2013, basato prevalentemente sulla delusione della componente sunnita marginalizzata, in particolare in Iraq le cui milizie furono abbandonate sostanzialmente a loro stesse dagli Stati Uniti che nel 2011/12 ritirarono le loro truppe dal fronte iracheno.

Oggi però si impone la crescente presenza di un nuovo fronte, che potrebbe unire parte delle diverse correnti dell’insurrezione armata jihadista che ha combattuto in Siria e Iraq: dallo Stato islamico propriamente detto, agli jihadisti dell’ex Jabat al-Nusrah, all’Hay’at Tahir al Sham, ai gruppi turcofoni del Fursan al-Imam e del Turkestan Islamic Party, ad Ansar al Islam.

Insomma una galassia jihadista in cerca di un nuovo obiettivo comune e pronta a radicarsi su quello stesso terreno fertile in cui lo Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi ha lasciato le sue radici più profonde.

Con lo Stato islamico-Khorasan in Afghanistan aumentano i foreign fighter stranieri: in crescita il dato dei terroristi con passaporto europeo

E quello stesso Stato islamico, che ha saputo diffondersi ed imporsi attraverso le tecniche del franchise e dell’outsourcing in molte parti del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Asia, è oggi impegnato in Afghanistan dove sta trasformando una guerra storicamente di “liberazione nazionale”, quella combattuta dai talebani per 18 anni, a conflitto globale di natura ideologica e settaria, come dimostrato dai crescenti atacchi contro gli obiettivi sciiti in Afghanistan, dalle moschee, alle scuole. E gli hazara, sciiti, reagiranno, aumentando il livello di conflittualità e portando a nuove spaccature interne alla già fragile società afghana.

Lo Stato islamico-Khorasan, il brand utilizzato in Afghanistan, dispone di poche migliaia di militanti – contro una forza talebana stimata in 50/60.000 combattenti -, molti afghani ma con un dato in progressiva crescita della componente straniera di reduci dalla Siria, tra i quali anche foreign fighter con passaporto europeo.

La censura statunitense e della NATO sulla sicurezza afghana conferma un quadro molto critico

Nel complesso la situazione afghana è talmente critica da aver indotto l’amministrazione statunitense a censurare, per tramite del Pentagono, le informazioni relative alla sicurezza dell’Afghanistan utilizzate dal SIGAR – l’organo di vigilanza del Congresso degli Stati Uniti.

Al tempo stesso anche la missione della NATO, la Resolute Support (di cui l’Italia è uno dei principali contributori) ha deciso di censurare le informazioni relative a quele aree in cui i talebani stanno guadagnando terreno, rivendicando il controllo di territori dove invece spadroneggiano i talebani e inventando nuove definizioni come “aree soggette ad attività insurrezionale” oad “alta attività insurrezionale”.

Una scelta comunicativa che però non impedisce di fare un’analisi completa in grado di offrirci una fotografia sconfortante della realtà, a fronte delle dichiarazioni ottimistiche del Pentagono: un paese in mano ai talebani per almeno il 40%, forze di sicurezza afghane di cui almeno la metà incapaci di operare, la NATO chiusa all’interno delle proprie basi e le forze statunitensi concentrate su operazioni di forze speciali e azioni aeree che hanno portato a un aumento significativo delle vittime civili, ma che non hanno ridotto le capacità dei talebani e degli altri gruppi di opposizione armata, che con sempre maggiore rapacità catturano armi ed equipaggiamenti alle forze di sicurezza afghane poi utilizzati per conquistare al governo di Kabul basi e centri periferici sempre più in balia dell’inarrestabile ondata insurrezionale, da una parte, e terroristica, dall’altra.

 

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