Idea costruttiva ma molti interrogativi sugli indispensabili accordi tra Stati che serviranno

Hotspot destinati ai migranti nei Paesi di origine e di transito (ma non tutti) e revisione del Trattato di Dublino in merito sull’accoglienza e la ricezione delle domande di asilo: questa la soluzione discussa e condivisa da Italia e Francia in seguito all’incontro tra il Presidente francese Emmanuel Macron e il Presidente del Consiglio dei ministri italiano, Giuseppe Conte, lo scorso 16 giugno.

Una notizia in linea con il nuovo e diretto approccio italiano e, al tempo stesso, la rigida posizione francese nei confronti dell’immigrazione illegale. Un fatto che conferma -ma non ce ne sarebbe stato bisogno- la scelta dell’Eliseo di tenere chiuse le frontiere alle masse dei migranti economici che provengono dall’Africa, per lo più attraverso la Libia e poi l’Italia, e la nuova posizione italiana di chiusura e contrasto diretto e attivo al transito migratorio verso l’Italia: «il sistema oggi non funziona»,  ha evidenziato Macron in riferimento alla gestione dei migranti e al trattato di Dublino, «non dà risultati soddisfacenti: dobbiamo trovare meccanismi che consentano la solidarietà e dobbiamo fare in modo che la situazione geografica non ci metta in situazioni politiche insostenibili».
Queste le parole, seguiranno i fatti di cui ‘l’affaire Aquarius‘ rappresenta un evento esclusivamente simbolico che, pur non cambiando di nulla l’entità degli sbarchi irregolari in Italia connessi con il business che lega i trafficanti alla criminalità transnazionale e al terrorismo jihadista, ha imposto un braccio di ferro tra l’Italia e l’Unione Europea, in particolare a seguito delle ‘vivaci’ reazioni da parte di alcune cancellerie, in primis proprio quella francese.

Va reso merito a Matteo Salvini di aver portato il tema all’attenzione di quell’opinione pubblica a lui politicamente più vicina. Come va reso a lui merito per l’essere riuscito a divenire elemento di riferimento di tutto il Governo, anzi ‘in vece’ del Governo, ponendo in secondo piano l’alleato-competitor Luigi Di Maio e addirittura in terzo piano un Presidente del Consiglio che stenta a imporre una propria linea politica definita e autonoma.

Ma è proprio la questione hotspot  -che il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale Moavero Milanesi ha preferito definire «centri di assistenza, informazione e protezione»-  ad aver attirato l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica più in generale, andando a smussare le spigolose critiche giunte all’indomani della ‘chiusura dei porti’ italiani  -chiusura in realtà mai davvero avvenuta, come dimostrato dagli sbarchi di centinaia di persone negli stessi giorni in cui alla nave Aquarius veniva negato l’approdo in un porto nazionale. Un tema che ha però spostato l’attenzione mediatica dall’Italia all’Europa. Di cosa si tratta?

Nella sostanza la proposta fa riferimento a strutture dell’Unione Europea, da allestire nei Paesi di origine e lungo le rotte migratorie, per l’identificazione dei migranti che vogliono presentare richiesta d’asilo; dunque, strutture destinate ad agevolare il viaggio, regolamentandolo, di circa il 12 percento del totale dei migranti che, dopo aver attraversato il Sahara ed essere giunti in Libia, solcano il mar Mediterraneo nella speranza di giungere in Europa.

Rimane il dubbio di ciò che cercherà di fare il restante 88 percento di migranti, questi economici, senza diritto alcuno allo status di ‘rifugiato’: difficile pensare che possano desistere dal proprio intento; al contrario è più facile pensare che troveranno un’alternativa per raggiungere uno dei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo.
Come ha dimostrato Filippo Rossi nel suo video-reportage sul traffico di esseri umani verso la Libia, il caso poco fortunato degli aiuti europei al Governo del Niger per contrastare tale traffico, non solo non ha dato i risultati sperati ma è riuscito ad alimentare un business illegale sempre più radicato e vincolante per l’economia locale.

Un altro punto fondamentale deve essere chiarito: quali Paesi africani saranno disposti ad accettare sul proprio territorio strutture che opereranno sotto la bandiera dell’Unione Europea, con personale che dovrà essere europeo? Certamente non la Libia, questo per volontà di Macron che vuole le mani libere sull’ex colonia italiana. L’Eritrea? La Nigeria? La Costa D’Avorio? Il Niger? Questo è l’elemento fondamentale su cui si basa il funzionamento di tutta la strategia, un pilastro ineludibile. Ma per realizzarlo sono necessari accordi bilaterali e multilaterali, il che richiede tempo e abile capacità diplomatica. Ma prima di tutto occorre l’assenso dei governi locali, che hanno un limitato quanto evidente scarso interesse, a meno che l’Europa non si decida a concedere generosi ‘contributi’ di natura economica (e non solo).

E ancora, come conciliare il diritto del maree i trattati internazionali sulsalvataggiocon la forte decisione politica italiana? Su questo punto Macron è stato chiaro nelle sue affermazioni, e nell’esplicito atto di scaricare sull’Italia il dovere di intervento: «quando una nave arriva nelle acque italiane ve ne dovete prendere carico. La Francia rispetterà sempre il diritto umanitario internazionale. La difficoltà dell’Italia non può risolversi bypassando il diritto internazionale».

Infine, la sicurezza: tali strutture, molte delle quali potenzialmente ubicate in Paesi ‘parzialmente insicuri’, dovranno essere verosimilmente presidiate da contingenti militari europei, non potendo contare su una capacità adeguata da parte delle forze di sicurezza locali. Ciò dovrà prevedere l’adozione di regole di ingaggio chiare e condivise: un aspetto non secondario, considerati i rischi oggettivi a cui andranno incontro gli operatori europei.

Dunque, ci sono aperture sul principio di solidarietà, ma niente di concreto sui meccanismi da usare.
Ma al di la delle criticità, molte ed estremamente articolate, l’idea è oggettivamente buona; a prescindere da chi l’abbia proposta. È un’idea valida perché guarda ai punti di partenza e origine, senza limitarsi ad affrontare un problema di ‘prossimità’, che è conseguenza di un fenomeno strutturale non gestito dagli Stati, bensì da organizzazioni e sodalizi criminali. Già l’aver acquisito consapevolezza di questa dinamica pone l’iniziativa tra quelle da non dover scartare a priori. E in questo senso va approfondito, quando sarà reso noto, il piano strategico che dovrà definirne l’entità, le responsabilità e gli effettivi ruoli dei paesi europei che saranno chiamati a contribuire.  Si prevedono tempi lunghi, ma è sempre meglio di niente. Il piano italiano dovrà arrivare al Consiglio europeo entro la fine del mese. Restiamo in attesa di passi concreti dopo un annuncio che implica azioni molto impegnative e vincolanti.

Se ne riparlerà in autunno, in occasione del nuovo vertice Italia-Francia che si terrà a Roma. Intanto arriva l’estate, e con essa il prevedibile, e fisiologico, aumento dei flussi migratori verso l’Italia.

analisi Europa Italia